Manualità artistica e autenticità espressiva: l’arte di Marco Morosini
Manualità artistica e autenticità espressiva: l’arte di Marco Morosini

Manualità artistica e autenticità espressiva: l’arte di Marco Morosini

Marco Morosini è un artista che celebra la libera e autentica espressione attraverso la sua arte. Il suo taleno creativo lo ha portato negli anni ad esprimersi attraverso immagini, oggetti e sculture, evolvendo la propria tecnica, dalla produzione digitale e meccanica a un approccio completamente manuale. Attraverso il suo lavoro rivendica il valore della creazione manuale e l’unicità delle creazioni non in serie. Rappresentato dalla Galleria Zamagni di Rimini, attualmente le sue opere sono realizzate con acrilico su tele, tessuti, intonaci, gesso e resine, creando fondi materici. 

Negli ultimi anni la ricerca creativa di Marco Morosini ha indagato un tema attuale: l'alienazione dell'uomo nella società moderna. Attraverso un linguaggio visivo fortemente influenzato dalla Pop Art e dalla grafica commerciale, Morosini rappresenta sentimenti di isolamento, anonimato e conformismo. Da qui la serie Uominiuomini, omaggio provocatorio alla produzione di massa. Ogni omino, privo di lineamenti e vestito in modo uniforme viene riprodotto meccanicamente. Queste figure archetipiche sono state ispirate da icone della Pop Art come Roy Lichtenstein e Andy Warhol, e sono state create tramite tecniche seriali. In un'epoca dominata dall'intelligenza artificiale, Morosini rivendica la necessità di opere realizzate dall'uomo per l'uomo. Al momemto Uominiuomini REFLEX è in mostra presso lo spazio di Orea Malia, in via Ugo Bassi a Bologna.

Manualità artistica e autenticità espressiva: l’arte di Marco Morosini

Conosciamo meglio Marco attraverso una lunga intervista, dove ripercorriamo la sua carriera artistica e i momenti più significativi che lo hanno portato ad affermarsi nel panorama nazionale e internazionale.

#answer1

Ciao Marco, sono molto felice di portarti in questo spazio virtuale e dialogare con te. Sono curiosa e voglio chiederti tante cose, iniziamo subito. Nel 1996 ti trasferisci a Vienna per un’esperienza presso lo studio No Frontiere Design, la tua prima esperienza internazionale, immagino sia stato un momento importante per la tua carriera artistica. Qual è il ricordo legato a quel momento?

Ciao Maria Rosa, sono felicissimo di questa intervista e ti ringrazio per il tempo che mi stai concedendo. Il ricordo di Vienna è davvero speciale per me. Ci andai per la prima volta con la mia Mercedes 200/8 del 1969, la prima macchina che acquistai per 2.500.000 lire. Questa auto mi accompagnò sia all’università a Urbino sia nella mia prima esperienza lavorativa a Vienna. All’epoca, la tecnologia era ancora agli albori e utilizzavamo il fax come principale strumento di comunicazione. Ricordo di aver inviato così tante pagine dei miei progetti grafici che feci arrabbiare il proprietario di No Frontiere Design perché finii tutto il toner del fax, costringendolo a spegnere la macchina per surriscaldamento. Nonostante questi episodi, l’esperienza fu fantastica. Avevo già studiato in Germania e apprezzavo molto l’ordine e la precisione del mondo anglosassone nella tipografia e nella fotografia. Anche Internet era una novità, limitato a un piccolo computer usato solo per inviare email ai fornitori. Utilizzavamo un sistema innovativo chiamato Quick Mail per comunicare all’interno dello studio, il che a volte risultava alienante perché parlavamo con persone a pochi metri di distanza attraverso la tecnologia. No Frontiere Design era uno degli studi più high-tech in Europa e questa esperienza mi ha lasciato un ricordo indelebile.

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#answer2

Dopo il periodo trascorso a Vienna, incontri Oliviero Toscani e inizia la tua esperienza a Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione promosso da Benetton e diretto dal maestro. Proprio quest’anno Fabrica compie 30 anni e immagino che vivere quel fermento culturale sia stato per te fonte di grande ispirazione e conoscenza. Mi racconti cosa ha significato per te questo incontro e l’esperienza a Fabrica?

Mi ritengo molto fortunato ad aver partecipato a questo momento storico di Fabrica. Spesso, quando si vivono eventi sociali o artistici significativi, non ci si rende conto dell'importanza del momento. Si è immersi in un vortice così veloce che non c'è tempo per riflettere sul valore di ciò che si sta vivendo. Solo anni dopo, guardando indietro, si apprezza veramente l'unicità e la rilevanza di quel periodo. Per me, Fabrica e Oliviero Toscani sono stati fondamentali. Toscani è stato un grande maestro, insegnandomi la vera creatività e l'espressione autentica. Sono arrivato come graphic designer e ne sono uscito come qualcuno che aveva imparato a comunicare attraverso le immagini, lasciando da parte la decorazione per abbracciare l'espressione. Toscani aveva un metodo di insegnamento unico: lavoravamo su progetti individuali e li presentavamo davanti a tutto il gruppo nell'auditorium. Ogni presentazione era seguita da commenti sinceri e diretti da parte degli altri partecipanti. Questo scambio onesto e libero da vincoli permetteva una crescita personale e professionale incredibile. Si capiva veramente il valore del proprio lavoro e eravamo stimolati a migliorare costantemente.

Fabrica era un luogo dove convergevano le migliori menti creative del mondo. Ricordo compagni fantastici provenienti da Giappone, Germania, Spagna, Portogallo, Brasile, Inghilterra e molti altri paesi. C'era un melting pot culturale incredibile, con persone pronte a imparare e a dare il meglio di sé. La sera, il custode ci mandava letteralmente via da Fabrica perché doveva chiudere la struttura, spesso staccando la luce per farci uscire. Eravamo così presi nei nostri progetti che non ci accorgevamo che erano già le nove di sera.

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#answer3

Negli anni successivi arrivano anche le collaborazioni oltreoceano prima a NewYork, chiamato da Miramax per curare il progetto editoriale di Talk Magazine, poi a Parigi per Liberation e anche in Italia per il settimanale italiano L’Espresso. Come hanno influenzato il tuo lavoro le esperienze internazionali?

Arrivai a New York grazie a Oliviero Toscani, che mi chiamò come art director per la rivista Talk Magazine. Fu un'esperienza straordinaria; non avevo mai visto New York prima di allora, e a 28 anni, nel 1999, mi trovai catapultato in una realtà completamente nuova e affascinante. Dal primo minuto, fui immerso in un lavoro frenetico, contribuendo sia alla nuova veste grafica di Talk Magazine sia alla campagna We on Death Row di Toscani per Benetton. Ricordo che il primo numero di Talk Magazine fu distribuito con un catalogo speciale, We on Death Row, che avevo progettato dall'America. Mi occupai della grafica del catalogo e dei poster. Toscani aveva trascorso gli ultimi dieci anni fotografando i condannati a morte, creando una campagna scioccante che provocò reazioni forti, portando alcuni negozi Benetton americani a rifiutare di esporre la merce. In America, infatti, esiste una significativa percentuale di persone favorevoli alla pena di morte. Questa esperienza mi formò enormemente, trovandomi in una delle città più dinamiche del mondo e lavorando per una rivista prodotta da Miramax, che aveva accesso alle migliori star. Le immagini di celebrità come Matt Damon, Robert De Niro, Martin Scorsese e Jennifer Lopez, ritratte da Toscani, arricchivano le pagine della rivista.

La mia esperienza con Liberation a Parigi, fu uno dei progetti più complessi e difficili della mia carriera. Anche qui Toscani mi chiamò come art director per aiutarlo a realizzare l'almanacco dei trent'anni del quotidiano Liberation. Fu un lavoro estremamente impegnativo: selezionammo e fotografammo gli articoli più significativi di tre decenni, costruendo un'architettura narrativa che illustrava i momenti salienti e i temi principali della storia del giornale. Partecipò alla direzione creativa anche Alex Marashian, una mente brillante. Ricordo un giorno, dopo una giornata particolarmente faticosa, tornando a casa, Toscani si appoggiò con una spalla all'ascensore di metallo d'acciaio e mi disse: "Non avevo proprio bisogno di prendere questo lavoro, è troppo complicato, pesante e difficile." Io risposi: "Anche io non ne avevo bisogno, ma Oliviero, dobbiamo portarlo a termine." E così facemmo, riuscendo a completare il progetto con successo.

L'esperienza con L'Espresso, sebbene breve, fu molto stimolante. Realizzammo alcune copertine insieme a Toscani, cercando sempre di evitare la banalità e di comunicare attraverso immagini potenti e libere. Purtroppo, non riuscimmo a ottenere la totale libertà espressiva che desideravamo. Anche in questo caso, fu Toscani a chiamarmi per collaborare, e io lo aiutai nel progetto senza pretendere meriti che non mi appartengono. Realizzare copertine capaci di trasmettere un messaggio forte ed espressivo è sempre stato molto gratificante per me.

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#answer4

Nel 2001 nasce Lo studio a Pesaro, un po’ come ritornare a casa dopo aver viaggiato e vissuto molte esperienze altrove. Perché proprio lì, dove sei nato e cresciuto?

Sì, nel 2001, dopo aver concluso la mia esperienza a Fabrica e in America, tornai nella mia città natale, Pesaro, dove avevo studiato all'Istituto Statale d'Arte. Avevamo un vecchio spazio industriale in periferia, completamente abbandonato, con il tetto che lasciava entrare l’acqua e senza più infissi. Nonostante fosse in condizioni disastrose, questo spazio aveva un fascino incredibile e una luce meravigliosa. Decisi di sistemarlo e di trasformarlo nel mio quartiere generale: lo studio e l'abitazione insieme in un enorme loft di quasi 1000 m².  All'inizio ero da solo a lavorarci, ma ben presto, con l’aumento dei progetti, iniziai a collaborare con una giovane grafica. Quando rispondeva al telefono con: Studio Morosini, buongiorno", dava l'impressione che ci fossero cento persone a lavorare per me, ma in realtà eravamo solo noi due. 

Col tempo, lo studio crebbe e iniziammo a collaborare con diversi marchi internazionali. Nel 2005, all'interno di questo spazio, nacque e si sviluppò il brand Brandina. Questo luogo ospitava anche la mia galleria d’arte personale, dove esposi le mie prime opere della serie UominiUomini, le installazioni Stone Messages con lapidi di marmo, le Scatole della Memoria e altri progetti artistici che via via prendevano forma. Questo spazio mi ha permesso di esprimere appieno la mia creatività e di condividere le mie opere con il pubblico.

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#answer5

Nel 2005, insieme a Barbara Marcolini, fondi Brandina marchio di borse e accessori realizzati con il tessuto dei lettini da mare. Le creazioni del brand diventano un’icona nell’ambiente balneare, unendo l’originalità del tessuto alle radici tradizionali della Riviera Adriatica. Raccontami come è nato questo progetto.

Nel 2004 ho realizzato il libro Divi di Rimini, un ritratto fotografico dei bagnini pubblicato da Electa Mondadori. Questo libro raccoglieva tutte le mie fotografie dei bagnini della riviera romagnola, scattate percorrendo 40 km di costa da Cattolica a Bellaria. Ho fotografato le persone più carismatiche e rappresentative della Riviera, raccontandole attraverso le mie immagini. In copertina ho messo la foto di un bagnino, ma sentivo che non bastava per trasmettere l'energia e l'atmosfera del mare presenti nelle pagine. Decisi quindi di aggiungere una sovracoperta realizzata con il tessuto dei lettini da mare.

Fu così che entrai in contatto con questo materiale a righe colorate, utilizzato su tutta la Riviera Adriatica, che racchiude i nostri sogni, i primi baci, i bagni in mare e le vacanze estive. Mi resi conto del suo forte potere espressivo e decisi di utilizzarlo non solo per la copertina del libro, ma anche per creare accessori e borse da mare. Così nacque il marchio BRANDINA

Insieme a mia moglie Barbara, che è architetto e cura lo stile e la gestione dei negozi, io mi occupo della parte creativa e grafica. Il marchio riscuote successo: ad oggi abbiamo sei negozi monomarca e abbiamo scelto di rimanere piccoli, concentrandoci sulla nostra Riviera Adriatica. Non vogliamo diventare un marchio globale, ma un marchio glocal: locale e unico, pur con una visibilità internazionale. Crediamo fermamente nella bellezza di essere singolari e provinciali, resistendo alla globalizzazione che rende tutto uniforme ovunque. I nostri negozi sono solo qui, e chi desidera i nostri prodotti dall’estero può acquistarli direttamente nei nostri punti vendita o online.

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#answer6

Sempre nelle Marche, dopo una lunga opera di restauro, nella primavera 2013 apre il Castello di Granarola, dimora storica e luogo d’accoglienza internazionale immerso nella natura in collina sul mare. Il primo Long Stay House by Brandina. Sembra di ritrovare in questo posto tutto quello che è il tuo immaginario creativo e l’essenza del legame con la tua regione. Mi parli del tuo rapporto con i luoghi dove senti di esprimere a pieno il tuo talento artistico.

Sì, Granarola è un luogo a cui sono profondamente legato dal 2007. Sono nato a soli 3 km da questo posto e ogni volta che ci vado, respiro l’aria che mi ha fatto crescere. Ho acquistato questo vecchio rudere per salvarlo da una speculazione edilizia che intendeva trasformarlo in appartamenti. Ho curato il restauro di ogni singola pietra, ricostruendo le stanze con la migliore esposizione al sole e utilizzando materiali naturali. Ho seguito ogni dettaglio architettonico, grafico e d'arredo.

Oggi, il Castello di Granarola è un relais con 24 residenze, ciascuna con un design unico. Le sei nuove residenze inaugurate recentemente ospitano sei miei processi artistici: BRANDINA, The Art of Selling a Bag, New Humanity, Basis, UominiUomini e Stones. Granarola è un luogo che mi appartiene profondamente; mi ricarica e mi ispira. È un posto completamente immerso nella natura e vive al ritmo della natura, offrendo un rifugio di pace e serenità.

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